Basketball in the first 70’s, per un ragazzino adolescente, era certamente rappresentato dai nostri eroi italici come Masini, Brumatti, Iellini, Bisson, Marzorati, Meneghin, ma non solo…quello che più di tutto solleticava la fantasia erano quei flash che arrivavano dagli Stati Uniti sotto forma di immagini, spesso in bianco e nero, che trovavamo sui Giganti del Basket, sul Guerin Sportivo e a volte nei luoghi più impensati…tipo Intrepido o Monello; quante volte mi sono soffermato su di una foto immaginandomi tutta la partita, fatta di schiacciate dalla linea di tiro libero con rotazione di 360°, assist incredibili ed altri numeri che solo la mente fervida di un adolescente completamente perso per la palla a spicchi poteva inventarsi. Essenze extraterrestri di un mondo che incrociavamo in pochissime occasioni e quando ciò avveniva, come alle Olimpiadi, avevi la netta sensazione di essere nato nel posto sbagliato.
Per noi, così assetati di USA, il primo avamposto di questo mondo lontano erano gli stranieri che venivano a giocare nel nostro campionato. e, finalmente, dopo un po’ di TV, il mio primo impatto live con la serie A. Un lontano 1972, al Palalido, con Simmenthal-Saclà (95-81). I due stranieri in campo erano ART KENNEY e WILLIE KIRKLAND…il rosso Kenney era un intimidatore, sempre pronto a far assaggiare i gomiti agli avversari (memorabile una rissa con Meneghin…), ma con un cuore straordinario, che fece di lui la vera anima di quel grande Simmenthal; tecnicamente non era il massimo, aveva con un range di tiro piuttosto limitato, ma il suo mestiere era un altro e lo ha sempre fatto più che bene. Di Willie Kirkland mi ricordo il fisico straordinario: una pantera nera tutto nervi e muscoli dotato di grande esplosività e con un discreto tiro. Quell’anno, insieme a WILLIAMS della Partenope ed HALL della Snaidero, rappresentava quella che per me era la nuova frontiera: i colored, nuovi guerrieri di quello che da lì a pochi anni sarebbe diventato un altro sport. Prima di loro c’erano stati solo TILLMANN del Simmenthal ed ISAAC della All’Onestà, ma di loro ho ricordi molto sbiaditi. Williams, giocatore completo e dominante, fece la storia del basket a Napoli per molti anni, mentre Hall non lasciò traccia ad Udine e dintorni.
Black is beautiful…ma i dominatori dei parquet nei primi anni 70 avevano altri nomi ed altro colore di pelle…erano 4, i fantastici 4.
Squilli di tromba: al numero 4 della mia Hit Parade, dal Brill Cagliari, centro, JOHN SUTTER. Realizzatore incredibile, aveva un tiro praticamente instoppabile che veniva effettuato esclusivamente di polso (destro) a braccia completamente tese sopra la testa – segnava da tutte le posizioni con medie altissime -, molto tecnico, non me lo ricordo dotato di particolare grinta e furore agonistico.
Al numero 3, dalla Canon Venezia, ala-centro, STEVE HAWES…giocatore super completo, poteva giocare ala piccola, power forward e centro senza alcun problema. Molto ‘setoso’ segnava da fuori con buon range, da sotto aveva qualche problema in più non essendo centro di ruolo. Non tradiva mai emozioni particolari, non era certamente un giocatore di carattere. Non me lo ricordo come grande trascinatore: segnava sempre 30-40 punti in una buonissima Canon, giocava a Venezia alla palestra della Misericordia, una chiesa sconsacrata (ci stavano quattro gatti), ma indubbiamente era molto suggestivo…l’ho odiato molto perché i media osavano paragonarlo al mio idolo (di seguito al numero 1…), ha avuto una buona carriera NBA, sempre da gregario ma anche con alcune stagioni in doppia cifra e con medie vicino al 50%.
Al numero 2, dall’Ignis Varese, ala, BOB MORSE…il più grande tiratore puro che abbia mai visto in vita mia (ABA e NBA comprese). Grandissimo senza palla, quando usciva dal blocco ed aveva mezzo metro di spazio era praticamente automatico. Ossola to Morse e la percentuale si aggirava intorno all’80%…quando capitava che sbagliasse vi erano esultanze da stadio nella tifoseria avversaria, manco fosse stato segnato un gol in mezza rovesciata dal limite dell’area (tipo Bonimba contro il Foggia…sigh…). Con l’uomo addosso invece il discorso era diverso: Bob era molto tecnico ma non velocissimo (eufemismo) e questo gli è costato molto in proiezione NBA. Sempre molto compassato, nelle vene gli scorreva il ghiaccio…se si alzava in jumper in crunch time, potevi tirare su il loden dalle panche in legno chiaro e tuffarti nella nebbia in piazza Stuparich, perché comunque sarebbe stato solo rete. Un vero gentleman sia in campo che fuori, il tipico bravo ragazzo. Volergli male era impossibile, ma quanto mi ha fatto soffrire…
Al numero 1’il più grande’, dalla Mobilquattro Milano, centro-ala, lo Sceriffo del Nebraska, CHUCK JURA. Ho già parlato di Chuck e della mia fede Mobilquattrina in un altro pezzo, ma non mi posso esimere dal tornare sull’argomento. Chuck è stato un giocatore assolutamente straordinario ed era almeno 10 anni avanti ai suoi tempi. Velocissimo come centro, poteva giocare anche da power forward grazie ad un tiro mortifero dai 5 metri. Sui movimenti di Chuck si potrebbe scrivere un libro. Quello classico lo vedeva spalle a canestro in post basso, palla tenuta con due mani e agitata con movimento roteante delle braccia oppure con la sola mano sinistra fingendo giro dorsale o passaggio al giocatore in taglio. Poi o rapidissimo fade away immarcabile per chiunque, o giro sul piede perno con scivolata a canestro dopo un paio di finte ubriacanti. Grandissimo rimbalzista e stoppatore, controllo di palla, visione di gioco e tecnica di passaggio assolutamente fuori dal comune per un giocatore del suo ruolo, soprattutto per quei tempi. Sempre tra i primi nelle classifiche degli assist e delle palle recuperate, un vero vincente, giocava spesso infortunato o febbricitante. Tornò in campo 7 giorni dopo un’operazione di appendicite segnandone 40 (mi sembra contro l’Alco Bologna…). Finiva le partite sempre stravolto e quando mi torna alla memoria lo vedo agitarsi su e giù per il campo con i lunghi capelli fradici di sudore. Unico difetto, un atteggiamento difensivo abbastanza soffice…preferiva spesso avventurarsi sulle linee di passaggio per recuperare palloni o attendere l’avversario per la stoppata piuttosto che giocare una difesa fisica. Inezie, perchè con Chuck i derby non erano più il solito massacro, 8 vittorie su 18 partite nelle stracittadine di campionato, con lo sceriffo in campo. Dopo Milano tentò, anche se un po’ tardi, la carta NBA: provò con Cleveland ma le star locali (Campy Russell, Austin Carr, Bingo Smith & C) non gradivano questo bianco potenzialmente pericoloso per il minutaggio di altri fratelli…lo osteggiarono pesantemente e Chuck fu uno degli ultimi tagli. Peggio per loro: non fosse venuto in Italia sarebbe stato un grande giocatore ABA, ne incarnava perfettamente lo spirito e lo stile di gioco. Su Basketball Times il grande coach Jim McGregor teneva una rubrica con il ranking dei migliori giocatori al mondo al di fuori dell’NBA, inutile sottolineare che Chuck occupava perennemente la prima posizione. Se, finita la sua avventura con la Xerox, Dan Peterson, invece di prendere Kupec e Gianelli, l’avesse portato all’Olimpia, la dinastia milanese sarebbe iniziata qualche anno prima.
(Fine prima parte- continua)
Stefano Micolitti