Questo e’ un pezzo di storia del mio nonno materno, Walter Finzi, nato a Correggio. La ricerca e’ stata pubblicata su Primo Piano, mensile correggese di informazione e di idee. L’originale e’ disponibile qui: http://www.dscorreggio.it/pp/2007/01/febbraio.pdf
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“Le vicende delle famiglie Finzi e Senigaglia, disperse e perseguitate a partire dalle leggi razziali fasciste del 1938. Il sacrificio estremo di Lucia Finzi scomparsa ad Auschwitz.
In occasione della Giornata della memoria, Monica Barlettai, giovane ricercatrice di storia locale, ha presentato il 22 gennaio scorso a Palazzo Principi i risultati del suo lavoro di ricostruzione storica, con una conferenza dal titolo “Le leggi razziali del 1938 a Correggio”. Ospitiamo qui di seguito un suo articolo che in modo sintetico richiama le vicende oggetto della ricerca. “L’elemento ebraico non ha mai avuto in provincia di Reggio Emilia alcuna vera importanza nei riflessi della politica né dell’economia. Le ripercussioni locali dei provvedimenti per la difesa della razza sono perciò trascurabili e non hanno dato luogo che a sporadiche recriminazioni degli interessati. Negli altri strati sociali si riscontra quasi assoluta indifferenza al problema ebraico che, come detto, non ha alcuna importanza locale”. Il comandante dei carabinieri di Reggio, Guido Solaini, minimizza nella sua risposta inviata il 10 dicembre 1938 al Prefetto, che lo interroga su come sono state accolte in provincia le leggi razziali. In realtà, la vicenda, se guardata dal punto di vista delle vittime – gli ebrei – assume i contorni della tragedia. La scure dei provvedimenti razziali si abbatte sulle esistenze di molti, dando un colpo violento al loro legame con il resto della società italiana. Per gli ebrei, anche correggesi, fu come tornare indietro di mezzo secolo quando le discriminazioni e le persecuzioni facevano parte della loro vita quotidiana.
Le leggi razziali del 1938, a cui seguì la repressione dell’occupante tedesco nel 1943, provocarono la completa dispersione della già esigua comunità ebraica locale. A quel tempo gli ebrei a Correggio erano poco più di una ventina. I primi a farne le spese furono i tre dipendenti comunali, licenziati in tronco con provvedimento del podestà di allora, Piero Cottafavi: sono il medico condotto Mario Finzi, che non reggendo allo sconforto viene colpito da ictus e muore 10 giorni dopo; il bibliotecario Riccardo Finzi, che riesce ad ottenere la direzione dei lavori di ristrutturazione alla sede della Banca Commerciale sfruttando il suo diploma di geometra, ma viene cacciato anche da questo incarico su segnalazione del presidente del sindacato fascista degli ingegneri, il cavaliere Guido Tirelli di Lemizzone. Scapperà in Svizzera con il fratello, l’avvocato Sergio Finzi, anche lui estromesso da tutti gli incarichi e non più in grado di svolgere la sua professione. Infine Valter Finzi, applicato dattilografo comunale che, dopo il licenziamento, ottiene un posto come operaio alla Recordati da cui sarà di nuovo licenziato nel 1943 a causa delle pressioni dei fascisti repubblichini su Giovanni Recordati. Da quel momento, attivamente ricercato dai suoi ex compagni di partito (lui che era stato un fascista “della prima ora”) sarà costretto a vivere da latitante nascosto nelle campagne correggesi. Non andò meglio a Pio Finzi, titolare della cartoleria in via Roma che fu arrestato e detenuto per due giorni nel carcere di San Tommaso a Reggio e miracolosamente rilasciato (grazie all’intervento del seniore della milizia fascista Alberto Patroncini, suo concittadino) che si rifugerà a Langhirano presso la figlia “ariana”, essendo lui sposato con una donna non ebrea. Anche Ester Clarice Finzi, una anziana signora di 76 anni che gestiva un negozietto di cianfrusaglie in corso Mazzini subì l’onta di vedere affisso sulla sua vetrina un cartello con la scritta “Ebrea – Judin” prima della definitiva confisca del seppur sgangherato esercizio.
L’offesa maggiore la patirono i Sinigaglia. I fratelli Claudio, Guido, da tempo residenti a Bologna, tornavano spesso a Correggio dove possedevano la villa all’inizio di via San Martino. Nell’ottobre del 1943 fu occupata dai tedeschi che l’adibirono a postribolo (casa di prostituzione ndr). I Sinigaglia ebbero tempo due ore per sgombrare. L’avvocato Claudio Sinigaglia, mutilato e pluridecorato per meriti di guerra scrisse indignato due lettere al Podestà per ottenere almeno il risarcimento dei danni. Tutto inutile. Morirà nel 1944 per non essere riuscito a procurarsi l’insulina necessaria a curarsi il diabete di cui soffriva. Morì anche la sorella Gilda, a causa di una broncopolmonite dovuta agli strapazzi della latitanza. I Sinigaglia non tornarono mai più a Correggio e la villa fu requisita e poi venduta. La tragedia fu totale per Lucia Finzi, sorella di Valter, che incapace di credere che lo Stato fascista di cui era cittadina intendesse veramente perseguitarla, lei che non aveva mai fatto nulla di male, si lasciò arrestare dai Carabinieri l’8 dicembre 1943. Da Fossoli, dove fu internata per due mesi, partì il 22 febbraio 1944 con un convoglio diretto ad Auschwitz da cui non ha mai fatto ritorno. Dunque il cono d’ombra dello sterminio ha investito anche Correggio. Sullo stato fascista e nel complesso su tutta la società italiana grava la responsabilità di non aver saputo “leggere” i provvedimenti razziali come paurosa anticamera di quello che sarebbe stato. D’altra parte, quei pochi ebrei correggesi scampati alla deportazione possono ascrivere la loro salvezza in primo luogo alla personale intraprendenza, ma certo anche al grande senso di civiltà dimostrato in larga misura da tutti quei “non ebrei” che li accolsero, li nascosero e non denunciarono mai la loro presenza. Piccoli granelli di sabbia che rallentarono il perverso ingranaggio dello sterminio.”
Monica Barlettai